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Il decoro ‘a stampa’ o ‘stampino’

La curiosa intuizione del marchese Ginori, che fa usare ai decoratori inesperti un antenato dello stencil, raccontata attraverso i manufatti e gli strumenti conservati al Museo Ginori

Nei difficili anni di avvio della manifattura, quando - dopo tante sperimentazioni - finalmente vide uscire dalla fornace le prime chicchere e i primi piatti di porcellana di buona qualità, il fondatore Carlo Ginori si trovò a dover risolvere il problema della scarsità di pittori capaci. La pittura su porcellana è un’arte difficile che richiede talento, disciplina e un lungo apprendistato. Pochi tra i giovani coloni impiegati nella fabbrica avevano le doti necessarie ed era passato troppo poco tempo dall’arrivo a Doccia dei maestri viennesi Karl e Anton Anreiter per poter disporre di personale capace di padroneggiare la tecnica.

La soluzione, a suo modo geniale, escogitata dal marchese Ginori fu quella di impiegare delle maschere, molto simili a quelle che oggi chiamiamo stencil, per decorare le preziose porcellane senza rischio di commettere errori. Il decoro così realizzato, noto a Doccia come decoro ‘a stampa’, permise di aumentare la produttività dei decoratori meno esperti, senza rinunciare all’eleganza e all’originalità del risultato finale.

Manifattura Ginori, Caffettiera con coperchio, 1750-1760, porcellana

Particolare del decoro a stampino

Manifattura Ginori, Caffettiera con coperchio, porcellana, 1750 circa

Raffinate composizioni di fiori di campo dipinti in blu di cobalto sotto vernice venivano realizzate con l’ausilio di una maschera in rame o pergamena nella quale era ritagliata la sagoma del decoro: appoggiata sulla superficie da decorare, serviva da guida al pennello che stendeva rapidamente il colore negli spazi lasciati liberi dal traforo. 

Manifattura Ginori, Maschera traforata per decoro ‘a stampa’ o ‘stampino’

Manifattura Ginori, Tazza a campana con prova di decoro ‘a stampa’, porcellana, 1750 circa

Manifattura Ginori, Maschera traforata per decoro ‘a stampa’ o ‘stampino’

All’esecutore non era richiesto un elevato grado di abilità. Determinanti erano invece il gusto e la sapienza compositiva di chi aveva ideato i disegni originali per le maschere traforate, chiamate ‘stampini’. Anche con questo tipo di innovazioni dettate dalla necessità, la Manifattura Ginori dimostra di essere avanti sui tempi: un simile rapporto tra progetto ed esecuzione anticipa di due secoli quanto poi sancito dal design industriale, ovvero che il valore di un prodotto risiede nella qualità del disegno e non nelle modalità della sua riproduzione.

Semplice e intuitiva, la tecnica delle maschere traforate era allora usatissima, anche nel mondo rurale, per decorare ogni sorta di superfici dalla carta al legno, dalle stoffe alle pareti intonacate. La Ginori però fu l’unica, tra le manifatture settecentesche, ad avere la spregiudicatezza e la capacità di applicarla con successo a un materiale lussuoso come la porcellana.

Manifattura Ginori, Rinfrescatoio con coperchio con armi di Francesco Marana e Laura Isola, porcellana, 1749 circa

Manifattura Ginori, ‘Ambrogetta’ con decoro ‘a stampa’, XIX secolo,  maiolica,  collezione privata

Nell’Ottocento, quando per la decorazione su porcellana e terraglia furono introdotte tecniche di riproduzione seriale come la cromolitografia, lo ‘stampino’ continuò a essere utilizzato per le ‘ambrogette’ (o mattonelle) in maiolica con cui si rivestivano, ad esempio, i camini ‘alla francese’, tuttora conservati in molte ville e palazzi di Firenze e dintorni. Un’ampia superficie con piastrelle Ginori decorate a stampino è rimasta in opera anche nelle scuderie di Villa Salviati, in via Bolognese a Firenze, oggi sede dell’Istituto Universitario Europeo. 

Consigli di lettura

  • L. Ginori Lisci, La porcellana di Doccia, Firenze 1963, pp. 40-42. 
  • A. Biancalana, Porcellane e maioliche a Doccia. La fabbrica dei marchesi Ginori. I primi cento anni, Firenze 2009, pp. 146-147.
  • A. Moore Valeri, Ceramica in uso a Firenze fra Settecento e Ottocento. vol. I La maiolica, Sesto Fiorentino 2019, pp. 219-225. 

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