Un company profile ante litteram per il paese dei barbagianni
Tra le più preziose testimonianze del legame dell’autore di Le Avventure di Pinocchio con la Manifattura di Doccia conservate nell'Archivio Storico del Museo Ginori, c'è uno straordinario opuscolo scritto da Carlo Lorenzini nel 1861, quando suo fratello Paolo dirigeva la fabbrica.
Tra i tanti personaggi noti le cui vicende si intrecciano a quelle della Manifattura di Doccia merita una menzione speciale Carlo Lorenzini (1826-1890), meglio conosciuto con il nome d’arte Collodi.
Carlo nasce a Palazzo Ginori in via Taddea: suo padre Domenico è cuoco a servizio dei marchesi, presso i quali la madre del futuro scrittore, Angelina Orzani, fa la domestica e la sarta. A pagare gli studi per lui e per il fratello Paolo sono i Ginori.
Il legame tra il Collodi e i Ginori si consolida ulteriormente a partire dal 1847, quando Paolo Lorenzini, comincia a lavorare nello “scrittojo” del marchese Lorenzo (l’ufficio fiorentino che amministrava il cospicuo patrimonio immobiliare e fondiario della famiglia) e a viaggiare in Francia e in Inghilterra per scoprire, nelle altre manifatture, segreti e talenti da portare nella fabbrica di Doccia, di cui a breve diventerà direttore.
Paolo Lorenzini trasforma la Manifattura Ginori con un’intraprendenza sbalorditiva. Nelle sue mani la fabbrica è un cantiere permanente di innovazione tecnologica e commerciale e in pochissimi anni passa da 300 a 1200 dipendenti. Sotto la sua direzione, la Ginori produce di tutto, dalle grandi ceramiche artistiche realizzate a mano, agli oggetti da tavola in porcellana, terraglia e terracotta a una grande varietà di oggetti d’uso quotidiano, incluse le stufe.
In quegli anni, Carlo lavora alla prefettura di Firenze e si occupa di giornalismo e critica letteraria. Nel 1861, in occasione della prima Esposizione Nazionale di Firenze, i Ginori gli chiedono di scrivere un opuscolo sulla Manifattura diretta dal fratello.
Carlo Lorenzini
Copertina dell'opuscolo di Carlo Lorenzini sulla Manifattura di Doccia
Urbano Lucchesi, Busto di Paolo Lorenzini, biscuit, 1892 circa, Museo Ginori
Pubblicato con il titolo La Manifattura delle porcellane di Doccia. Cenni illustrativi raccolti da C.L., il volumetto è un vero e proprio “company profile” ante litteram, che sorprende ancora oggi per la scrittura nitida, la precisione con cui viene ricostruita l’heritage della fabbrica, descritta la sua capacità di innovazione e celebrata la social responsibility degli illuminati proprietari.
L’anno successivo alla loro pubblicazione, i Cenni illustrativi scritti da Carlo vengono distribuiti da Paolo a tutti i direttori e redattori dei principali giornali inglesi presenti all’Esposizione di Londra del 1862. Questa impresa pioneristica di comunicazione istituzionale avrà un ruolo fondamentale nella campagna di promozione del marchio Ginori, il cui successo londinese segna una svolta per la fabbrica di Doccia.
La Manifattura di Doccia nell'Ottocento, illustrazione tratta dall'opuscolo di Carlo Lorenzini
Il Collodi ritornerà a parlare di porcellana anche molti anni dopo, descrivendo la manifattura di Doccia nel fortunato sussidiario per ragazzi La lanterna magica di Giannettino, uscito la prima volta nel 1890 e ristampato per molti anni a seguire.
Una tradizione locale fortemente radicata vuole che anche nel suo capolavoro Le Avventure di Pinocchio siano numerosi i riferimenti alla manifattura Ginori e a luoghi e personaggi realmente esistiti del territorio sestese, dalla Locanda del Gambero Rosso alla fata Turchina. Alcuni appassionati studiosi locali hanno, ad esempio, ipotizzato che il celebre “paese di barbagianni” sia il borgo di Colonnata, con al centro la sua imponente fabbrica di porcellana. Scrive al proposito Nicola Rilli: “Quando gli operai della Ginori uscivano dalla fabbrica, avevano gli abiti impolverati e sudici di caolino, di quella specie di terra, cioè, con cui si fanno i piatti, i vassoi, ecc. ed erano di un colorino grigiastro e indefinito come il manto dei barbagianni. Anzi spesso avevano di quel colore anche i capelli, il viso, i baffi e le ciglia e le sopracciglia sì che sembravano davvero dei grossi barbagianni. Almeno questa, al dire dei vecchi era l’impressione che ne aveva colta il Lorenzini.”