Piattella “Venere stracciona”

Al centro del piatto, in primo piano, si erge un nudo femminile con una lunga canna, un cappello dalla cima strappata e un mantello a brandelli. Sembra salire l’ultimo gradino di una scalinata sul quale sono sparsi un braccialetto, un anello con la sua custodia e due frutti. Sullo sfondo, come quinte prospettiche, due architetture immaginarie e speculari, che ricordano la famosa Ca’ Brütta milanese, realizzata dall’amico Giovanni Muzio all’inizio degli Anni Venti, e le case di via Randaccio e via San Vittore, i primi edifici progettati da Ponti a Milano con il socio Emilio Lancia. Nicchie, obelischi, sfere, vasi e balaustre animano le facciate in un fantasioso gioco di riferimenti all’architettura antica.

La raffigurazione enigmatica, che allude nella posa all’iconografia della Venere de’ Medici, si può leggere come un ironico riferimento alla tradizione classica, tornata alla ribalta grazie a Muzio, Buzzi, Alpago-Novelli, Cabiati e agli altri architetti milanesi con cui in quegli anni Ponti condivide la ricerca di un nuovo linguaggio attraverso la riscoperta del classicismo.

Certo è che l’invenzione della Venere cosiddetta “stracciona” è cara a Ponti, che non solo ne propone più varianti per la Richard-Ginori, ma la rielabora anche a distanza di anni, per un progetto di scultura documentato da un disegno databile al 1946 circa e proveniente dalla collezione dell’ingegner Antonio Fornaroli, suo socio e collaboratore.